martedì 22 agosto 2017

Procol Harum - Novum (recensione)

Era da 14 anni che i Procol Harum non pubblicavano un disco. Quasi non ci speravo più! Eppure, quasi dal nulla, ecco Novum. Purtroppo supportato da una promozione quasi imbarazzante (tant'è che ho scoperto per caso della sua uscita), siamo di fronte ad un album certo non perfetto, ma carico di classe indubbiamente.

Novum esce anche per celebrare i 50 anni tondi dall'uscita di quel primo singolo che fece la fortuna dei Procol Harum, A Whiter Shade Of Pale; e nonostante il nome dell'album faccia pensare ad una nuova direzione per la band, quello che abbiamo è comunque un album nel pieno dello stile a cui ci hanno abituati negli anni. Certo, l'iconico organo Hammond ha fatto un passo indietro in favore del piano di Brooker e la chitarra di Whitehorn (complice anche l'assenza di Matthew Fisher, storico hammondista sostituito dal pur valido Josh Phillips, che si occupa anche dei sintetizzatori), ma le melodie e la calda voce di Gary Brooker (nonostante un leggero calo dato dall'età) ci fanno sentire da subito a casa. E se da un lato non è presente quell'eclettismo appena un po' più pronunciato del precedente album, The Well's On Fire del 2003, Novum è comunque composto da canzoni molto valide e, a tratti, emozionanti. Tra l'altro si tratta del primo album che non vanta la presenza di Keith Reid come paroliere, fida spalla di Brooker da sempre, ma bensì di Pete Brown (paroliere, tra gli altri, dei Cream). Interessante oltretutto notare che, a mio parere, i brani più validi sono concentrati nella seconda metà del disco, scelta piuttosto curiosa... Ma andiamo con ordine.

Nella prima metà si hanno quindi alcune concessioni all'anima più americana della band in brani come I Told On You e Image Of The Beast, dalle tinte soul e blues, alternati a brani più tipici come Last Chance Motel e Soldier, classici pezzi "alla Procol Harum" con ritornelli immediatamente riconoscibili. Con Don't Get Caught, primo singolo uscito drammaticamente in sordina, arriviamo al primo brano capace di insinuarsi nella mente e farsi canticchiare anche a distanza di tempo, mentre con la successiva Neighbour apprezziamo il ritorno dell'anima umoristica dei Procol che non si sentiva dai primi album (Good Captain Clack, 'twas Teatime At The Circus), in salsa quasi folk. Subito dopo abbiamo una serie di pezzi da 90 sparati in sequenza, e per tanto che la cosa in sé sia esaltante, forse rimescolando un po' i brani sarebbero stati valorizzati un po' di più i primi, ma è solo un'opinione personale. Sunday Morning è ciò di più classico che potesse arrivare da questi signori: base strumentale presa dal Canon in D di Pachelbel, aperture melodiche epiche, un capolavoro costruito a tavolino ma che riesce ad emozionare e a far gioire per il ritorno di questa band. E questo era il secondo singolo, uscito ancora più in sordina, poi uno non si deve arrabbiare... Businessman fa capire che sanno ancora tirare fuori gli artigli, con un ottimo brano rock che non sarà Simple Sister ma che sa comunque esaltare. Discorso simile per Can't Say That (gli unici 2 brani rock uno dopo l'altro? Capite ora cosa dicevo riguardo alla sequenza dei brani?), forse ancora più dura come sonorità e dal ritmo più sostenuto, per poi rallentare nel finale e chiudersi con una jam. Una doppietta micidiale che mai mi sarei aspettato dai Procol Harum nel 2017. E quando pensi di aver sentito tutto BAM, ecco The Only One, altro magnifico brano lento tipico dello stile del gruppo, ma a mio parere uno dei migliori in assoluto, come non se ne sentivano dagli anni '70. La chiusura è affidata a Somewhen, brano di Brooker in solitaria di una bellezza semplice ed efficace, una fine perfetta per l'album.
Quindi quasi un album con 2 facce: quella composta da brani semplicemente buoni ma che spesso lasciano il tempo che trovano, e quella capace di colpire ed emozionare come non succedeva da metà anni '70 con questa band. Mi ripeto, ma continuo ad esser convinto che rimescolando la tracklist avremmo avuto un album all'apparenza più solido e sicuramente più scorrevole. Ma parlando di quello che effettivamente abbiamo tra le mani, io personalmente ne sono molto soddisfatto. Sarà che non mi aspettavo nulla, che mi sarebbe bastato un album semplicemente "buono", ma quella raffica di pezzi verso la fine dell'album è qualcosa che non sentivo da tempo. Quindi un album che ovviamente consiglio a tutti i fan nel caso in cui non l'abbiano ancora ascoltato, vista appunto la promozione praticamente assente. Un voto? Gli ultimi brani sono da 9 abbondante, ma gli altri stanno sul 6,5; quindi suppongo di dover dare un 7,5 che posso arrotondare ad 8 per l'affetto che provo verso questa band.

Ovviamente non vedo l'ora che arrivi il 3 Settembre per poterli ascoltare al festival 2 days prog + 1 di Veruno! Concerto che sicuramente recensirò su questo blog, quindi gli interessati stiano all'erta!

Come al solito, su Spotify potete ascoltare l'intero album, ma qui sotto vi metto comunque un paio di video per farvi un'idea.

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