giovedì 28 settembre 2017

Sparks - Hippopotamus (recensione)


Conobbi gli Sparks per puro caso un paio di anni fa, precisamente grazie alla cover di This Town Ain't Big Enough For Both Of Us fatta da Justin Hawkins (cantante dei Darkness) nel 2005. Da allora, dopo una leggera confusione iniziale, ho provato ad esplorare le varie fasi della loro carriera, scoprendo quello che secondo me è uno dei gruppi più geniali ed unici dell'ultimo secolo. Non sto qui a raccontare la storia dei 2 fratelli Mael, per quello c'è Wikipedia, ma vi parlo del loro ultimo album uscito poco meno di un mese fa: Hippopotamus.
Si tratta, ovviamente, di un album molto particolare e non facilmente classificabile, un po' come tutti i loro lavori. Ma in questo caso la band si trova a fare quasi un passo indietro stilisticamente; nello specifico un "ritorno alle canzoni". Perchè si, i loro ultimi album sono stati decisamente più complessi, teatrali, difficili da comprendere ed apprezzare, ma forse proprio per questo a loro modo dei capolavori. Poi un paio di anni fa ecco FFS, la collaborazione con i Franz Ferdinand; collaborazione che ci ha regalato uno degli album più belli dell'intera carriera degli Sparks, oltre che un effettivo "ritorno alle canzoni". Ovviamente a quel punto era da vedere se questa cosa sarebbe proseguita o no. Ed eccoci quindi ad Hippopotamus: un album che sicuramente è più "pop" dei precedenti senza però essere pop. Quindi cercherò di non usare etichette e generi da ora in poi. Ben 15 canzoni, tutte piuttosto brevi, una più bella dell'altra. Non mi metto a fare il "track by track" che risulterebbe davvero tedioso e pesante, mi limito quindi a citare gli episodi più interessanti. I singoli pubblicati rendono bene l'idea della direzione stilistica: la filastrocca di Hippopotamus è qualcosa di geniale con il suo nonsense e vi ritroverete a canticchiarla per giorni; così come Missionary Position, di cui non serve che vi dica di cosa parla, e che per me è uno dei picchi dell'album. What The Hell Is It This Time? è l'altro singolo, sicuramente interessante a livello testuale (raccontato dal punto di vista di Dio stanco delle continue richieste degli esseri umani) ma un po' piatta musicalmente a mio parere. Edith Piaf (Said it Better Than Me) è un'altra geniale canzone sull'incapacità di non rimpiangere nulla. Poi Giddy Giddy, I Wish You Were Fun, Bummer, The Amazing Mr. Repeat, Scandinavian Design (IKEA?), tutti gioiellini spesso melodicamente geniali e a tratti molto complessi (ben più di quanto possa sembrare ad un ascolto distratto). Poi all'improvviso 2 grandi colpi di gran classe: When You're a French Director, bellissimo valzer dipinto magnificamente da tinte, appunto, tipicamente francesi; e la conclusiva Life With The Macbeths che tocca sonorità operistiche grazie anche alla cantante ospite Rebecca Sjöwall.

Insomma un album veramente molto interessante ed allo stesso tempo godibile. Capace nella difficile missione di colpire l'ascoltatore fin da subito e di migliorare comunque ad ogni ascolto (un po' come avere la botte piena e la moglie ubriaca). E pur non trattandosi di un capolavoro, specie se confrontato con altri lavori della loro discografia, fa comunque riflettere il fatto che i signori Ron e Russel Mael (rispettivamente 72 e 68 anni) riescano ancora a pubblicare lavori validi e scevri da ogni sorta di confronto con qualunque altro artista. E dovrebbe far riflettere soprattutto molti ragazzi ventenni (me compreso) che si approcciano alla musica, indipendentemente dal genere. Ma comunque, per me Hippopotamus è uno dei più probabili candidati al titolo di "miglior album del 2017 imho". E dire che tra uno Steven Wilson ed un Roger Waters, tra un Procol Harum ed un Deep Purple, la concorrenza è agguerrita! Un voto? Un solido e deciso 9.
Oltre ai video sparsi qua e là nella recensione, vi lascio un link per ascoltare l'intero album. Siccome so che non tutti sono iscritti a Spotify, stavolta ci vengono incontro proprio gli Sparks stessi condividendo l'intero album su YouTube! Eccovi quindi il link alla playlist.



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